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Carità

La Carità Cristiana nell’identità confraternale: l’esperienza della Confraternita del Carmine di Taranto

Contributo all’incontro nazionale delle Confraternite, letto in piazza San Pietro a Roma, alla presenza di S.S. Benedetto XVI il 10 novembre 2007

Facendo salve le peculiarità ambientali, cultuali e devozionali di ogni esperienza locale, la maggior parte delle Confraternite erette in Italia fra la fine del Medio Evo e la grande stagione di grazia della Riforma seguita al Concilio di Trento, avevano in comune alcune importanti caratteristiche che ne definivano in qualche modo la comune identità corporativa: la conservazione e la trasmissione di alcune pie pratiche di culto (processioni, pellegrinaggi, etc.), e l’esercizio fattivo di opere di carità cristiana. Anzi, entrambe le caratteristiche possono essere considerate come due aspetti complementari dell’impegno di ciascuna Confraternita a testimoniare la Vera Fede secondo il proprio specifico carisma.

Nella sua enciclica “Deus Charitas est”, papa Benedetto XVI, ci conferma la validità di un “sistema” che nei secoli ha prodotto innumerevoli frutti spirituali e materiali: L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (25).

Sin dalla sua erezione canonica avvenuta nel 1675, la Confraternita del Carmine è stata per la città di Taranto e per il suo contado, un sicuro punto di riferimento tanto nella pratica di culto, tanto nell’esercizio della carità. Una carità che, negli anni ha avuto innumerevoli modi di essere vissuta e significata, magari evolvendosi nelle forme secondo le necessità dei tempi, ma rimanendo sempre identica a se stessa nella sua essenza profonda che in nessun caso va confusa con una generica e sincretista “filantropia”. Ancora illuminanti le parole del Papa: Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. (Deus Charitas est 18)

Grazie alla liberalità dei propri iscritti, la Confraternita ha conosciuto negli ultimi decenni una discreta disponibilità materiale che le ha consentito di allargare notevolmente il raggio di azione della propria attività caritativa, anche differenziandola notevolmente rispetto al passato, nei modi e nei destinatari. È una carità che si esprime semplicemente in termini di contributi materiali, o, più consapevolmente, dando la possibilità ai propri iscritti di essere protagonisti attivi.

L’esperienza della mensa dei poveri ha raggiunto il suo ventinquesimo anno di attività ininterrotta. Vi trovano ricovero per un pasto caldo non meno di 70 indigenti ogni giorno, e vi trovano la possibilità di rendersi utili come cuochi o inservienti generici, molti fra Confratelli, Consorelle e parrocchiani di buona volontà. Alla collaborazione con l’associazione Shalom, si deve la realizzazione di un pozzo di acqua potabile nell’arido entroterra del Burkinafaso, in Africa Occidentale, e alcune adozioni a distanza nella stessa regione. A cinque fusi orari di distanza invece, in Perù, sono stati realizzati gli impianti di luce e acqua in un centro polivalente promosso da una parrocchia della nostra Diocesi.

Molteplici negli anni i contributi “straordinari”, fra i quali possiamo ricordare gli aiuti alle famiglie dei detenuti, ad alcune comunità per il recupero dei tossicodipendenti, o a famiglie indigenti del quartiere, e ancora, l’acquisto di una auto-medica destinata al servizio 118. A questi si aggiungono gli interventi continuati per un certo periodo di tempo, come la borsa di studio a favore di un seminarista della Diocesi, istituita due anni fa e intitolata alla memoria di S.E. mons. Guglielmo Motolese, indimenticato pastore della Chiesa tarantina per un lustro, i contributi per il seminario e per il sostentamento del clero.

L’attenzione ai bisogni materiali però, non ha mai distratto la Confraternita dall’esercizio di un’altra importante forma di carità, quella culturale e spirituale. Molteplici e di vario interesse sono, nel corso dell’anno, le conferenze e gli incontri organizzati su argomenti non solo di cultura strettamente religiosa, ma anche di attualità, medicina, impegno sociale, il tutto visto e presentato sempre alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

La Confraternita quindi realizza se stessa e la sua identità cristiana nel costante esercizio della carità, nel quale non solo prova concretamente la gioia del dare, ma sperimenta mirabilmente la grazia del ricevere: concludendo ancora con le parole dell’enciclica di papa Benedetto XVI, “Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama.” (18)

Giovanni Schinaia

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